In scena un’autrice (che è Virginia Woolf, ma che indossa anche alcune caratteristiche più contemporanee grazie all’intreccio biografico con la stessa drammaturga dello spettacolo Francesca Sangalli) si confronta con i personaggi di un suo romanzo, con la loro urgenza di esistere, con la loro capacità di riflettere e di sfidare chi li ha creati. Clarissa e Septimus, protagonisti di Mrs. Dalloway, di cui nel 2025 ricorre il centenario e la cui struttura lo spettacolo attraversa, sono fantasmi e specchi, doppi dell’autrice, creature che sfuggono al romanzo per chiedere pirandellianamente di essere raccontati.
Mentre Virginia si interroga sulla propria esistenza come scrittrice, distratta da suoni di aerei, voci interiori e frammenti di quotidianità, incapace di trovare un inizio che la soddisfi, Clarissa e Septimus la incalzano con la loro urgenza di esistere e di raccontarsi. Da un lato Clarissa, che mentre organizza la sua festa, riflette sulla sua giovinezza e le occasioni perdute: le sue scelte saranno state le migliori che poteva prendere? La sua vita di oggi, così come la nostra, è la scelta più felice? O abbiamo avuto paura? Dall’altro Septimus, che vaga per la città, traumatizzato dalla guerra, sempre in bilico fra le sue visioni e la realtà, ossessionato dal desiderio di contenere la sua follia di fronte al mondo. Avrebbe potuto salvarsi? Curarsi? Contenersi?
Nello spettacolo si intrecciano parole di Virginia Woolf, riscritture, frammenti poetici, immagini evocative. E, sopra ogni cosa, resta l’eco di un verso, ripetuto come un mantra, come un presagio: Fear no more the heat o’ the sun / Nor the furious winter’s rages. Il verso, tratto dal Cymbeline di Shakespeare, viene ripetuto da Clarissa e Septimus per suggerire che nulla è da temere, neppure la stessa morte, inevitabile, e (forse) da abbracciare come un riparo estremo dalle difficoltà della vita.
Perché la paura stessa, forse, è l’unica cosa da cui possiamo davvero liberarci.
Note di drammaturgia di Francesca Sangalli
In Fear no more ho cercato ripercorre la connessione tra chi scrive oggi (l’autrice del testo, la regista), e i pensieri emersi dai diari di Virginia, dalle sue opere, dalle sue idee. Mi sono chiesta come raccontare cosa accade nella mente di un’autrice mentre l’idea si forma e prende vita. Qual è l’alchimia del pensiero dal suo stato embrionale alla parola scritta? Fear No More è un’indagine su questo processo, un dialogo tra epoche, tra generazioni di donne mosse da impulsi anticonvenzionali magari artistici, e lacerate dagli interrogativi esistenziali. Quale è il mio posto? E perché devo stare al mio posto? Questa passione traboccante è compatibile con il mio ruolo nella società? Posso indossare tutta la vita questo personaggio e poi, terminata la mia funzione sociale passare oltre, diventando in silenzio, evanescente?
Note di regia di Simona Gonella
Mi sento da sempre legata a doppio filo con le parole e le immagini della Woolf. E, allo stesso modo, mi ossessiona da sempre la voglia, il bisogno e la necessità di indagare la scrittura femminile per il teatro. L’incontro con Francesca Sangalli ha permesso di unire queste due passioni e mettere in scena un testo che indaga le molteplici sfaccettature dell’animo umano con l’affondo feroce della vicenda di Mrs Dalloway di Virginia Woolf e con la levità disturbata ed oscura della ben più contemporanea Francesca. Mi interessava profondamente questo incastro tra le due autrici e ho spinto moltissimo perché in scena vi fosse il personaggio di Virginia/Io -sovrapposizione poetica tra le due – alle prese con due aspetti per me cruciali del nostro stare oggi nel tempo: il rapporto con il ruolo sociale, familiare e professionale incarnato in scena da Clarissa Dalloway e la visione alterata, sfocata e di grande dolore e rottura del sopravvissuto alla guerra Septimus. In Fear no more cerco di far esplodere le contraddizioni di questi temi, enfatizzando il confronto/scontro incessante fra i tre personaggi, che la scenografia rinchiude volutamente in uno spazio vuoto segnato solo dalla presenza di una lunga striscia di “carta” e da tre sedie in legno. Il corpo a corpo fra Virginia/Io e le sue due creature è quindi sovraesposto e senza possibilità di nascondigli o artifici. L’autrice costringe i personaggi a incarnare i propri ricordi, a indossare i suoi panni, a vivere le sue fragilità, mentre i personaggi resistono, si ribellano, hanno desideri e pulsioni a cui non vorrebbero rinunciare. Questa lotta credo somigli molto alla nostra, quando diverse parti di noi si ribellano e scalpitano e, nostro malgrado, ci portano dove non avremmo mai pensato o voluto. Il pubblico diventa così testimone di una vicenda solo apparentemente “letteraria” e fa i conti con l’anima fragile e battagliera di Virginia/Io nella quale può riconoscere le proprie stesse paure, inquietudini, vittorie e i fallimenti.
La scrittura di Francesca ha una ironia feroce che non indugia mai nel sentimentalismo o nel facile dolore e, soprattutto, non ha finte pretese di “naturalismo”. E’ una scrittura reale, carnale a tratti assurda ma che non costringe mai regista ed interpreti ad aderire ad un genere o a “rappresentare” un ambiente o una relazione secondo canoni prestabiliti. Questo consente una grande schiettezza, una buona dose di libertà e anche una certa dose di altrettanto feroce divertimento nel mio approccio alla messa in scena. E credo che, in maniera speculare, permetta a chi guarda di seguire la storia profondamente umana di Clarissa, Septimus e Virginia/Io sentendosi in bilico fra inquietudine e levità, due aspetti per me cardine della vita e del teatro.
FEAR NO MORE
di Francesca Sangalli
regia SIMONA GONELLA
con Leda Kreider, Maria Laura Palmeri, Matthieu Pastore
scene e costumi Annamaria Gallo
produzione QUI e ORA, Manifatture Teatrali Milanesi, Lac/Lugano in scena
con il sostegno di Fondazione Claudia Lombardi per il teatro e Olinda
SPETTACOLO
Martedì 21 ottobre 2025 | ore 20.45
Rassegna CONTEMPORANEA